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La vedova scaltra - 1953-54

autore: Carlo Goldoni
regia: Giorgio Strehler
scene: Fabrizio Clerici
costumi: Leonor Fini
musiche: Fiorenzo Carpi
    


Appunti di regia La vedova scaltra 1953

Riflessioni sullo spettacolo posteriori al peridodo dell'allestimento risultante da una trascrizione di un colloquio con Arturo Lazzari nella stagione 1974-75. Inedito dattiloscritto conservato nell'Archivio del Piccolo Teatro di Milano.

Riflessioni su La vedova scaltra  diretto da Strehler nel 1953

 

La vedova scaltra è l’ultimo testo di Goldoni da noi rappresentato prima della Trilogia della Villeggiatura e direi che è il punto di passaggio tra la nostra attività goldoniana precedente ed appunto la Trilogia della villeggiatura che, in un certo senso, ha segnato la fine di un cammino di conoscenza, di un’indagine su Goldoni.

 

Da un punto di vista “tecnico” direi che La vedova scaltra ha segnato per me la prova generale di alcune soluzioni che sono state poi adoperate nella Trilogia della villeggiatura. Tutto ciò mi sembra che non sia avvenuto in un modo illegittimo rispetto al testo. Noi sappiamo che sul crinale dei lavori di Goldoni, avviati con l’Arlecchino servitore di due padroni, vi sia il momento di passaggio de Gli innamorati e de La vedova scaltra: quella presa di contatto cioè, di conoscenza del reale, che rappresenta per noi il punto focale per capire l’opera di Goldoni.

 

Nella Vedova scaltra il rapporto formale, il gioco dei caratteri, direi, un certo gioco simbologico persino, rappresenta un punto di passaggio tra una interpretazione tendenzialmente non realistica, un’interpretazione stilizzata e un’interpretazione realistica di Goldoni. Queste sono le tre tappe. La vedova scaltra fu scelta come testo-esemplare da interpretare con una certa stilizzazione tendente ormai verso il realismo, verso la realtà; nel testo la stilizzazione dei caratteri esiste ancora, (cioè le maschere), ma psicologicamente essi sono visti con dei tratti già più realistici ed in questo senso l’esperienza della Vedova scaltra ci fu di grande aiuto per la successiva interpretazione della Trilogia.

 

Esistono naturalmente degli abissi di metodo tra l’una e l’altra, ma, come dicevamo, anche da un punto di vista tecnico, La vedova scaltra ha rappresentato un certo punto di passaggio. Questo è stato notato non dico dalla totalità, ma dalla quasi totalità dei critici, come un fatto negativo; mi si rimproverò una mancanza di fantasia, un eccessivo rigore ed un eccessivo lindore e rispetto del testo, laddove in lavori precedenti mi si rimproverava un eccessivo gioco, un’eccessiva libertà fantastica sul testo goldoniano.

 

Tranne Palmieri, che capì determinate malinconie, determinate dolcezze, una determinata atmosfera, nella Vedova scaltra la critica in generale avrebbe voluto vedere un maggior gioco, avrebbe voluto vedere una maggiore libertà, una certa interpretazione da Commedia dell’Arte, una maggiore interpretazione a balletto del testo stesso. E queste critiche, direi, mi confermarono che la strada era giusta, ma mi avvertirono anche che essa sarebbe stata difficile; difatti lo scoglio contro il quale urta lo studio goldoniano è appunto quello di non voler riconoscere i diversi stadi della sua evoluzione, dalla Commedia dell’Arte al realismo, dalla stilizzazione alla presa di contatto con la realtà delle cose, trasferite in un testo poetico.

 

Seguendo questo cammino era inevitabile per noi fare le spese, le stesse spese che Goldoni fece in rapporto ai suoi denigratori.

Tutto questo fu affrontato nella Vedova scaltra, pur con i limiti della commedia e senza naturalmente volere andare al di là di quello che essa poteva dire, senza caricarla cioè di significati che il testo non consentiva.

 

 

 

 

 

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